Torino – Dopo quasi un secolo di oblio, i “Tratturi” sono tornati, almeno in parte, protagonisti di un dibattito (scientifico e non) sulle loro possibilità di utilizzo. Queste antichissime vie di comunicazione di animali e persone, che raggiunsero il loro massimo splendore e utilizzo tra il XIV e il XVIII secolo, furono prima viste con disprezzo dalla civiltà liberale dell’Ottocento (che consideró i Tratturi un retaggio medievale da sacrificare all’altare del progresso) e poi quasi dimenticate nel Novecento, se non sotto forma di sparuti racconti nella mitologia popolare e in qualche tratto utilizzato a scopo prettamente locale. Negli ultimi dieci anni, la lungimiranza di alcune associazioni ne ha intravisto le potenzialità come motori di sviluppo di un turismo sostenibile e attento ai territori appenninici e sub-appennici.
Tra le fonti utili per conoscere meglio il mondo dei tratturi, fondamentale é un testo rarissimo, redatto a inizio Novecento da Ettore D’Orazio (Polla, Avezzano). Studioso rimasto praticamente sconosciuto, il D’Orazio andrebbe riscoperto per la sua testimonianza relativa alla decadenza di quella che lui non esita a definire come una vera e propria “civiltà agro-pastorale”. All’inizio del Novecento, infatti, lo Stato Italiano aveva tolto al Tavoliere lo status di zona demaniale, estinguendo gli usi civici che permettevano alla pianura di vivere solo in parte grazie all’agricoltura e per la maggior parte grazie alla presenza delle greggi abruzzesi nei mesi autunnali, primaverili ed invernali.
L’autore utilizza come spunto per iniziare la narrazione una rivolta contadina consumatasi a Cerignola nel 1900. Pur utilizzando a tratti un linguaggio nostalgico e quasi paternalistico, il D’Orazio é lucido nel descrivere un sistema economico arcaico e a tratto crudele, ma fondamentale per l’identità e le tradizioni di tutti i borghi e i comuni che si estendono fra l’Aquila e Lucera, passando per il Sangro, il Molise e il Subappennino Dauno. Dicevamo crudele perché i pastori di montagna abruzzesi e molisani trascorrevano a casa non più di una manciata di giorni, sospesi fra i pascoli estivi della loro terra e la presenza nel Tavoliere degli altri mesi, a cui si sggiungevano le condizioni di miseria che li costringevano ad alloggi di fortuna per mesi e mesi, senza contare il viaggio stancante di andata e ritorno che durava dai 7 ai 12 giorni (con l’eccezione di coloro che dovevano annunciare il loro ritorno, costretti ad un viaggio a rotta di collo di 2 giorni senza soste).
La parte più narrativa del libro, con la sua imitazione manieristica dei paesaggi delle Ecloghe di Virgilio, é comunque funzionale a descrivere la bellezza aspra e selvaggia dei paesaggi e dei borghi interessati, facendo comprendere al lettore contemporaneo l’importanza della riscoperta degli itinerari dei tratturi principali, Foggia-L’Aquila, Castel di Sangro-Lucera e Candela Pescasseroli. Luigi M. D’Auria