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Agroalimentare

Tante incertezze per i produttori di grano dopo la mietitura

29 giugno 2016

Tante incertezze per i produttori di grano dopo la mietitura

Ascoli Satriano – Per secoli, almeno nelle regioni del Meridione d’Italia, la mietitura del grano si è svolta seguendo la tecnica tradizionale della “paranza”. Ad un ordine del capofamiglia, si iniziava la stagione della mietitura, muovendosi a gruppi di sette persone, al ritmo di un ettaro al giorno. Generalmente, si iniziava a mietere verso la metà o la fine di giugno, e si andava avanti, in molti casi, fino a settembre, alternando la mietitura agli altri lavori stagionali.

Dal secondo Dopoguerra in poi, la “Paranza” è stata soppianatata dalle mietitrebbie, diventate negli anni sempre più sofisticate e potenti, tanto da arrivare, in alcuni casi, ad una velocità di cento ettari mietuti al giorno, anche nelle stagioni migliori (quanto si registra molto grano, infatti, le macchine tendono ad andare più piano). Certamente la vecchia “Paranza” era molto più folkloristica, tanto che molto spesso viene revocate in feste locali (come “la Festa del Grano” di Troia), ma la fatica dei lavoratori era tale da giustificare un meccanizzazione del processo. 

Nella nostra esperienza di inviati (in particolare, siamo stati presso la piccola azienda agricola “Celeste Anguilano” di Ascoli Satriano, in Provincia di Foggia) abbiamo potutto constatare che anche la mietitura meccanizzata è, a suo modo, uno spettacolo. Aggirandosi per i campi di queste zone, infatti, può capitare di imbattersi in una fila di mietitrebbie che, pur lavorando in zone separate, sembrano muoversi all’unisono, seguendo il comando di una sola persona. Visti i costi elevati, sono pochi i produttori che possono permettersi una mietitrebbia moderna. Diversi, preferiscono conservare quella dei loro padri, ma rischiano parecchio, vista la mancanza quasi endemica di coperture assicurative.

La filiera, nonostante la meccanizzazione, si svolge secondo procedure ancora antiche. Chi non possiede una mietitrebbia, si rivolge ad un conoscente o ai vicini. Nel caso di Celeste, che ci ha ospitati in questo soggiorno, la mietitura parte grazie alla combinazione bel tempo-arrivo della trebbiatrice dei vicini, la famiglia Roccia. Dopo la fine del lavoro, che dura non più di un paio di giorni (Stiamo parlando di 3,5 ettari, peraltro non tutti vicini), si porta il grano presso un molino, sia esso il consorzio locale (che ha sua volta svolge opera di intermediazione) o un grande mulino, come queli del vecchio “Re del Grano” Casillo o dei nuovi produttori, come i Santacroce.

Insomma, in questa filiera le contraddizioni non mancano. I rapporti tra produttori e “mietitori” seguono regole rimaste immutate da anni, mentre i vari molini gestiscono il tutto con piglio manageriale. Sopra tutti, inoltre, ci sono gli agenti dei veri colossi del settore, che tramite la borsa di Chicago fissano i prezzi del grano di ogni Paese e zona, facendo spesso saltare il sogno dell’accoppiata sempre sognata dai contadini, ovvero grande resa/prezzo alto. Quest’anno, per esempio, la produttività è stata alta, ma il prezzo non è andato oltre i 20,5/21 euro a quintale (per il grano pugliese), contro i 24 di inizio stagione. 

A nostro avviso, le Stato è solo parzialmente responsabile delle difficoltà dei produttori. Nonostante alcune politiche sbagliate da parte del nostro Governo (pensiamo al sostegno all’olio d’oliva pakistano a discapito di quello pugliese), infatti, bisogna riconoscere che sui mercati internazionali il grano italiano nonè più quotato come un tempo, a causa della scarsità di proteine. Peertanto, bisogna lasciare da parte il vittimismo e presentarsi al Ministero e all’Unione Europea dei progetti di agricoltura sostenibile che metttano le istituzioni di fronte ad un bivio, costringendoli a scegliere tra la qualità sostenibile dei nostri produttori e il profitto facile dei mercati internazionali. Luigi M. D’Auria

Mietitura del grano 2016 a Mezzana della Terra

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