Torino – Negli ultimi decenni, la visione del Medioevo come un mondo statico e in continua decadenza é stata superata. Vedere un’epoca storica lunga mille anni come un blocco unico sarebbe miope, e non terrebbe conto delle trasformazioni, anche radicali, che attraversarono l’Europa di quei secoli, alcune delle quali hanno lasciato tracce fino ai giorni nostri.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che una parte enorme della popolazione medievale viveva in condizioni di estrema povertà e indigenza, con un picco del 95% in alcuni regioni di campagna nel corso dell’Alto Medioevo. Ricostruire le vicende di questi “ultimi” (anche se la definizione non é corretta, visto che rappresentavano la maggioranza della società del tempo) non é facile, soprattutto a causa della scarsità di fonti, che sono quasi sempre ecclesiastiche o legate al mondo nobiliare. Tra i testi che provano ad approfondire il tema della povertà nel Medioevo, uno dei più riusciti é sicuramente “Poveri e Povertà nel Medioevo” di Giuliana Albini (Carocci Editore, 290 pagine).
Il testo (un saggio accurato dal punto di vista storico e critico) puó essere letto non solo dagli specialisti di storia medievale. Nei sette capitoli del libro, vengono analizzati aspetti diversissimi del mondo medievale, uniti dal comune denominatore della povertà. Dalle campagne alle città comunali, passando per le istituzioni che si occupavano di carità, Albini ricostruisce un mondo difficile e affascinante allo stesso tempo, dove disprezzo per la povertà, prime istituzioni di welfare, santi e spietati proprietari terrieri sembrano conviver senza apparente soluzione di continuità.
Nella descrizione del mondo agricolo, Albini distingue fra il mondo Alto Medievale e Basso Medievale, molto distanti tra loro nonostante tratti comuni che segnarono tutto il periodo. Quello che emerge é un quadro di mondi dove il pericolo della povertà era sempre presente, soprattutto per i piccoli proprietari terrieri. I contadini praticavano un’agricoltura primariamente di sussistenza, senza pensare al surplus di produzione. Fino al XIII secolo, inoltre, la rotazione triennale era poco praticata, dunque i terreni venivano divisi fra pascolo e coltivazione di cereali (rotazione biennale), con l’importante distinguo delle fasce di bosco vicine ai villaggi, importanti per l’allevamento dei maiali e per lo sfruttamento di piante come il castagno, che furono “selezionate” nei boschi europei dalle rudimentali opere di sfruttamento del bosco praticate nel mondo medievale.
Nel corso dei secoli, tuttavia, non mancarono esempi di gestione virtuosa e razionale della terra, come la Curtis carolingia, che dopo secoli di difficoltà portó ad una nuova razionalizzazione delle terre in molte regioni europee, impiegando manodopera schiavile e libera, creando una rete di rapporti che, pur essendosi trasformata nel corso del IX e X secolo (secoli di invasioni e incursioni, tra cui quella saracena), pose le basi per la creazione della campagna tipica del sistema feudale, in cui convivono elementi contrastanti: da un lato aumento delle rese, rotazione triennale e maggiore sicurezza (i castelli erano anche grandi depositi di prodotti agricoli circostanti), dall’altro maggiore potere dei signori nei confronti dei piccoli proprietari terrieri, tanto che nel XII secolo furono imponenti i fenomeni di inurbamento di piccoli proprietari impoveriti, nonostante una migliore situazione climatica e demografica.
Con un testo relativamente agile, dunque, Giuliana Albini riesce a fornire un affresco su aspetti meno noti del Medioevo, arricchendo il libro con una narrazione ricca di immagini vivide per il lettore, che descrivono la terribile realtà delle carestie e delle epidemie che sferzavano popolazioni spesso già deboli, provocando situazioni di estremo disagio. Allo stesso tempo, tuttavia, un mondo precario come quello medievale fu anche in grado di rispondere alle sue forti crisi con soluzioni nuove e innovative di gestione della terra, anche in ambito agricolo, come la mezzadria, il sistema curtense e l’aratro a versoio. Luigi M. D’Auria