Torino – In una società che, dopo la crisi degli ultimi anni, cerca sempre di più una transizione ecologica sostenibile, anche cercare colture e piante da altri Paesi da portare in Italia può essere una soluzione. Del resto, molte piante che oggi sono simboli del nostro paesaggio e della nostra gastronomia (Fichi d’india, pomodori, solo per citare i più famosi) sono state “importate” nei secoli passati.
Tra le colture più interessanti da questo punto di vista, c’é il bambù, una delle piante simbolo di diverse culture orientali, che grazie agli sforzi di alcune aziende e agricoltori coraggiosi potrebbe vivere un periodo di espansione anche in Italia, grazie alle sue importanti proprietà ambientali (riesce a “catturare” importanti quantità di CO2) e come risorsa per il suolo. Recenti studi, condotti dall’Università di Torino, hanno dimostrato la sua capacità di far parte di cicli integrati insieme al vermicompost prodotto dal Lombrico Rosso della California.
Proprio di bambù si é parlato in un interessante incontro tenuto, nell’ambito della rassegna Flor Primavera, nella Galleria San Federico a Torino, nell spazio condiviso per questi eventi da Fiorfood Coop e dagli organizzatori di Flor. Un incontro interessante, che ha visto la presenza di Davide Biagini, Professore DISAFA Università di Torino e di Antonio Villani, Presidente di Alma Italia, prima realtà italiana che sta cercando di dare vita ad una filiera italiana del bambù, sfruttandone anche le possibilità alimentari, in particolare dei germogli.
Si tratta di una sfida difficile e in parte, ancora pionieristica, nonostante la professionalità degli attori in campo. Le potenzialità del bambù a livello ambientale, infatti, sono praticamente infinite, come testimoniano il caso del nascente bambuseto di Chivasso (dove si sono svolte anche le ricerche dell’Università), ma il progetto non é certo di facile realizzazione, a cominciare dall’estrema necessità d’acqua. Non bisogna, infine, dimenticare, la difficoltà di dare vita ad una filiera che includa anche piccoli produttori, anche intenzionati ad impiantare un solo ettaro di bambuseto (nonostante l’esempio virtuoso del manager diventato contadino, Paolo Bruschi), che sarebbero ad oggi costretti ad un regime antieconomico. Come tutte le rivoluzioni agricole, dunque, quella del bambù avrà ancora bisogno di tempo, passione, dedizione e buone pratiche per diventare realtà. Donato D’Auria