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MENSILE REGISTRATO AL TRIBUNALE DI TORINO N° 6 DEL 25.02.2014 - DIRETTORE RESPONSABILE DONATO D'AURIA

Ambiente

Usi Civici ed Enfiteusi, questi Sconosciuti

01 dicembre 2020

Torino – Molto spesso, quando si parla del mondo agricolo italiano, si parla delle “arretratezze” di uno Stato che, spesso, non riesce ad essere vicino alle istanze dei contadini, soprattutto a causa di una burocrazia e di una legislazione, non più al passo con le realatà politiche ed economiche del momento. In un Paese che non ha una riforma agricola strutturata dal 1950, infatti, sopravvivono istituti legali poco conosciuti nel dettaglio, ma ancora molto utilizzati in Italia, tra cui gli “Usi Civici” e l’enfiteusi, sotto cui ricadono ancora moltissimi terreni agricoli italiani, soprattutto nel Meridione.

Quando si parla di “Uso Civico”, in genere, si intende un diritto di proprietà collettiva su un territorio, erede storico e giuridico delle “terre comuni” che  i contadini medievali potevano utilizzare per attività come caccia, allevamento di maiali e per procurarsi legname . Nel corso dei secoli (in particolare dopo l’epoca napoleonica) l’uso civico è passato ad indicare un terreno di proprietà pubblica che viene affidato sotto forma di “enfiteusi”, che in origine era la concessione di affitto che un “Signore”, in ambito feudale concedeva (in genere per molti anni, quindici o trenta) ad una famiglia, senza chiedere un canone particolarmente gravoso. Nonostante la volontà di alcuni ministri, già in epoca fascista, di far decadere l’utilizzo degli Usi Civici, ciò non fu possibile, in quanto essi si erano spesso già “fusi” con  i diritti di enfiteusi, visto che molte terre  del Demanio (su cui ricadeva lo stesso uso civico) furono date in Enfiteusi a Cavalieri di Vittorio Veneto, reduci della Prima Guerra Mondiale.

La normativa riguardo questi due istituti, dunque, è antiquata e decisamente complessa. La soluzione migliore sarebbe, per lo Stato e le Regioni (il primo che controlla le terre del demanio che vengono date in enfiteusi, le seconde che  detengono i diritti sulle terre dove sono presenti Usi Civici) sarebbe quella di promuovere una politica di vendite e di affrancamenti, cedendone la proprietà ai privati a costi contenuti. Questa decisione potrebbe portare vantaggi sia ai piccoli proprietari agricoli, che con procedure di acquisto chiare potrebbe risolvere rapporti burocratici con le istituzioni (quasi sempre complesse) in modo poco costoso, sia per le stesse istituzioni, che potrebbero fare una piccola “cassa” (che potrebbe anche non essere del tutto trascurabile, soprattutto nelle zone dove le terre sono più numerose) e risolvere, almeno in parte, il problema dei Beni Pubblici trascurati, operando una privatizzazione oculata.

Il principale ostacolo ad una riforma di questo tipo é nella mancanza di procedure chiare e ben definite. Quattro mesi per un’affrancazione, soprattutto di un piccolo appezzamento di terreno, sono decisamente troppi, a nostro avviso. La necessità di dar vita a procedure burocratiche semplificate, che possano aiutare sia i piccoli produttori che le aziende agricole di più grandi dimensioni, é impellente per la risoluzione del problema. Problematica a monte, rispetto a quella precedente, é quella della “ricognizione” delle terre affidate in Enfiteusi e su cui ricadono Usi Civici. Diverse regioni sono in grande ritardo, tra cui la Puglia, che ha iniziato una ricognizione generalizzata solo nel 2019. Senza un grande sforzo che includa una parte archivistica e una di effettivo “censimento” delle terre, in collaborazione con i comuni, gli Usi Civici e l’Enfiteusi continueranno ad essere ancora sconosciuti dagli stessi contadini ed impossibili da riportare agli antichi splendori. Luigi M. D’Auria

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